Brasile,

1988. A Suzuka Ayrton Senna è campione del mondo.

Già alla viglia nipponica si palpava un week-end fatto di emozioni per i preparativi ad una festa casalinga divisa solo dal colore delle bandiere: Prost da una parte, Ayrton dall’altra. A unire la coppia più dominante della storia della F1 c’è la vettura più iconica e ambita di quell’epoca: La McLaren-Honda. 15 vittorie su 16 – solo Monza fermò il record di vittorie a favore dei ferraristi – con i contendenti al titolo, compagni di squadra. Dinamiche che nel tempo si sono ripetute lasciando ferite e solchi ancora in fase di guarigione.

Cosa accadde il 30 ottobre del 1988? Il V6 Turbo espresse la sua massima bellezza motoristica con i suoi 650 cv pronti a far vedere i colori della vettura rosso-bianco per tutta la pista: glorioso, goliardico, prepotente e scattante. Il fulmine di Zeus si abbatte sulla pista nipponica con una pole position firmata Senna. Il brasiliano riuscì ad imporsi sul compagno di squadra fermando il cronometro grazie ad un colpo di reni. Ma la gara è sempre la gara. I mondiali si vincono sotto la bandiera a scacchi, guardando i numeri, stilando i risultati di una stagione destina ad entrare nella leggenda.

Domenica, giorno di gara.

Eseguiti i riti scaramantici, ultimi ritocchi, l’attenzione ad ogni particolare o dettaglio che fin li sarebbe potuto sfuggire, la sirena suona e chiama tutti a raccolta. Pista libera, signori. Ora è tempo di lasciare solo i piloti con le loro fantasie. Al verde Senna fu vittima di problemi in partenza, perde posizioni, Prost vola, allunga, affonda il pedale del gas osservando il suo compagno/rivale allontanarsi sempre più diventando un puntino bianco in mezzo a tanti altri colori. Com’è possibile? E’ la maledizione dei campionissimi?  Il motore perde colpi, i giri calano, quel goliardico V6 all’improvviso mostra segni di cedimento…

Ma il rettilineo di Suzuka presenta una pendenza e sarà proprio quella ad aiutare Ayrton a partire. Una spinta, la carezza del vento, il soffio divino di un potere celeste, chissà! Quella partenza lenta ma costante permise ad Ayrton di canalizzare la rabbia agonistica ed entrare in quel tunnel divino che lo porterà dalla decima posizione ad un inseguimento famelico di Prost fino al sorpasso, fino ad affondare il piede verso il fondo corsa del pedale del gas e anche di più. Sotto al casco, dietro ad uno sguardo incendiato e un cuore guerriero balza in testa alla corsa fino a quando quella bandiera a scacchi non si mostra. 

E’ finita. La bandiera a scacchi è in vista, arriva Ayrton. Quei occhi infuocati iniziano a bagnarsi.

Arriva la pioggia. A Suzuka piove. Sotto l’acqua il brasiliano conquista il primo titolo iridato della sua carriera dopo una furiosa rimonta e un assalto alla vittoria da imperatore.

Le emozioni prendono il sopravvento, il duro brasiliano si scioglie, è un Ayrton Senna umano quello che il mondo osserva mentre il Brasile, il suo Brasile, il suo popolo, la sua gente, è in strada a festeggiare, a ballare, a urlare in coro quel nome destinato ad esser urlato in eterno.

Senna, Senna! Olè olè, olè! Senna! 

Il titolo mondiale è l’obiettivo di ogni pilota e per me è diventato una piacevole realtà in quella che considero la più bella gara della mia carriera.

Un titolo mondiale dal sapore dolce, che cambiò gli equilibri e mostrò al mondo il Senna più umano che il mondo ancora doveva scoprire.

L’uomo si mostrò.

Semplicemente Ayrton.

Motorsport is beautiful

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