Michele Alboreto.

Chissà cosa diresti se fossi qui.

Oggi come allora è una giornata che solo il sole riscalda, ma vent’anni senza te sono davvero tanti. Già. Quello che è successo è una ferita che ancora oggi fa male. Tanto. Un sorriso, una foto, quattro chiacchiere con i tifosi e le nostre giornate erano migliori. Il Drake ti voleva bene come un figlio, dopo Gilles, sei stato l’unico, l’ultimo, pilota amato dall’ingegnere.

Chi come me non ha vissuto i tuoi anni in Ferrari ha perso tanto, ma rimane intatta quella scelta fatta a Imola 1994; freddo, impassibile, lucido più di tutti ad ascoltare e ribadire quanto la Tamburello fosse pericolosa per via dell’asfalto sconnesso. Poi quella doccia fredda, freddissima, dove dici addio a tutti “la F1 non mi rappresenta più” e cosi come sei arrivato, in un elegante silenzio, con la classe che da sempre ti ha contraddistinto, hai salutato tutti.

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©Cahier Archive

Caro Michele Alboreto di te non si parla mai abbastanza, ma anche farlo, non darebbe giustizia al grande uomo che sei stato. Un giorno racconterò di te a chiunque mi chiederà chi e cosa sei stato per tutti noi ferraristi; Michele è stato l’uomo che più di tutti ha rappresentato la Ferrari sfiorando il titolo piloti e, pur non vincendo, mantenne la parola data ai suoi meccanici: “Tutti in vacanza alle Maldive la vacanza è meritata e la pago io”.

Ormai sono vent’anni che sei al tavolo con il Drake e con Senna, tra una partita a briscola e l’altra vi immagino su una poltrona a guardare questa Ferrari che ancora non va, commentando con quella diplomazia che ha Ferrari è sempre piaciuta. Anche quando a Natale con Zermiani hai portato la F40 da Maranello fino al Duomo di Milano.

Caro Michele Alboreto prima che le lacrime fanno da padrone sulla tastiera mi fermo qui, speranzoso che un giorno, forse, l’Autodromo di Monza intitolerà una curva o il circuito a te.

 

Motorsport is beautiful.

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